15 aprile 2008

Profilo dei corsisti: Erika De Bortoli

Mi chiamo Erika. Il che pare avere il suo peso.
Il termine latino Erica designa un fiore che ama l’ombra fresca del sottobosco, mentre la versione svedese del sostantivo, ossia “Erika”, significa -su per giù- “condottiera”.
Selvatica e guerriera dunque.
Restia alle carezze, restia alle categorizzazioni. Non ho mai fatto realmente parte di alcuna città, abitazione, scuola o associazione perché le stesse, con o senza il mio contributo, sono frequentemente mutate.
Nata in provincia di Belluno ho percorso innumerevoli prati, sentieri, gretti e ruscelli.
Curiosa, Dispersiva, Evasiva. Sovente ho l’impressione di procedere a passo svelto seminando appunti qua e là. Quando perdo qualcosa è buon segno: a breve troverò qualcos’altro, solitamente di meglio.
Non di rado recupero oggetti per strada: una t-shirt rossa da ballo, un paio di occhiali da sole, una pallina da golf… Porto a casa, lavo, rivisito, indosso.
Mi piace tutto ciò che è appartenuto ad altri. Mi piacciono queste connessioni inconsapevoli e segrete.
I miei piedi sono irresistibilmente attratti dall’acqua e dalle sue vaste distese: li ho immersi nel Mare Mediterraneo, nel Mare del Nord e nell’Oceano Atlantico.
Sembro votata alle frontiere, ai loro guai e alle loro contraddizioni.
Ho trascorso una notte in un carcere austriaco per via di un musicista iraniano. A Cipro ho dormito a cento metri da reti di filo spinato. Al confine tra Italia e Svizzera sono stata fermata perché in compagnia di un ragazzo colombiano e un pilota americano. Presso la frontiera anglo-tedesca m’è stato richiesto di esibire i foglietti illustrativi dei farmaci che portavo con me per dimostrare di essere italiana. Gli ufficiali di turno trovavano sospetto io viaggiassi sul Westfalia di una famiglia tedesca…
Beh, sì, nei miei trentadue anni di vita ho anche lavorato e studiato. Tante facoltà universitarie, l’ultima – non meno sbagliata di altre o delle altre (vale a dire le mie precedenti…) – l’ho pure -legalmente- terminata.
Tanti lavoretti. Un lavoro. All’ultimo due impieghi che definirei professioni. Nessun espediente losco, ma di certo mille salti mortali tra carte di credito e buoni postali per sopravvivere.
Che c’entra la scrittura con tutto questo? Non ne ho idea. I taccuini, i diari, le lettere, le e-mail? Non credo. La tesi di laurea, le poesie, i racconti pubblicati? Ne dubito.
Tento di lasciar stare. Rea confessa non mi impegno. Fatto sta che, mio malgrado, reiterati incontri ed eventi mi richiamano alla scrittura.
Ho deciso di frequentare questo corso per caso e per necessità. Mi piace scrivere. Probabilmente non smetterò mai di tentare di imparare a farlo. Pigrizia permettendo.

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